L’argomento del titolo è ostico, ma l’Africa (e i paesi tropico-equatoriali in genere) è anche questo. Cerco di prenderla alla larga e chiudo facendovi sorridere un po’.
Dopo una giornata passata a scuola tra ore di insegnamento e interazione con i cuori dei ragazzini, e poi l’intervallo in cui vale tutto: riposo in terrazza e conversazione in inglese con i ragazzi grandi.
Acquisto della merenda e del caffè Touba in strada chè la scuola non è un ambiente chiuso, bensì di scambio continuo con il mondo esterno.
Foto, giochi e lotte che vengono severamente punite.
Le lezioni finiscono sempre con i canti ritmati scritti da Papa Sow, insegnante dei corsi preparatori agli esami per il college e grande djémbéttista… anche con i secchielli in plastica riciclata!
A fine mattinata il rito mio e di Genny del succo al mango o guayava al posto dell’aperitivo e il pranzo con gli insegnanti a base di un cous cous delizioso; l’attesa del tè da profani che si avvicinano al rito chiedendo ingredienti ed esecuzione; e mille cose ancora, tra cui le ragazze che si fanno fare le treccine dalle quasi coetanee senegalesi e Genny che, immancabilmente, crolla dal sonno.
E non manca lo spirito irrequieto degli avventurieri che vogliono andare a tutti i costi al mercato di Bène Baraque, per poter scoprire un altro pezzo di cultura e usi locali.
La sabbia scotta, gli odori sono fortissimi, i banchi quasi vuoti, pensiamo già all’alternativa-spiaggia.
Siamo ancora troppo occidentali: è solo mercoledì e i ritmi africani pesano troppo a qualcuno di noi, che fatica a comprendere il relax post pranzo, l’ora dedicata al tè, l’indecisione nello scegliere quale attività svolgere il pomeriggio.
Tra un tira e molla si torna a casa, si va in spiaggia e ci si riposa osservando allenamenti che nessuno di noi sarebbe in grado di sostenere.
Ci buttiamo in acqua e ci facciamo frullare dalle onde: l’oceano mosso all’ora del tramonto è pazzescamente affascinante per il caldo delle sue acque in contrasto con il vento e per i colori che rispecchiano quelli del cielo, in continua evoluzione.
Ma sul più bello c’è chi deve rientrare a casa…
Il senso dell’orientamento, si sa, non è donna. Se poi le strade sono tutte uguali, con tratti comuni che appiattiscono il senso di osservazione quali sabbia, muri grigi e macerie ovunque, la difficoltà è massima tanto quanto la probabilità di perdersi.
Tre cervelli femminili insieme, con tre convinzioni diverse sul percorso, potrebbero vagare per ore alla ricerca della strada giusta. Cosa non fare? Non metterli sotto pressione! E se, a sorpresa, arriva Montezuma, allora inizia a scavare nella sabbia!