Borghi del ponente ligure tra tradizioni e leggende

Triora (Foto radiogold.it)

Il paesaggio della Liguria lo riconosceremmo tra mille. Non fatevi distrarre dal mare, anzi, voltategli le spalle e ammirate l’entroterra ligure con i suoi terrazzamenti argentei colorati dagli ulivi.
Per una necessità dettata da esigenze agricole (vite prima, ulivi poi) si sono creati superfici coltivabili in ambienti altrimenti impossibili, ottenendo il duplice risultato di risorsa di vita e di stabilità dei versanti.

Il generale spopolamento delle campagne nel corso del ‘900 a favore dell’economia industriale a causa della fatica quotidiana del vivere ha assunto le dimensioni di una vera e propria fuga. Il risultato sono stati l’abbandono ed il degrado del territorio ai quali si cerca oggi di porre rimedio.

Arnasco e i corsi di muretti a secco

Arnasco (Foto cittadellolio.it)

Questo recupero del territorio è sentito tanto che ad Arnasco, borgo il cui nome deriva da una qualità autoctona di oliva, ogni anno nel mese di maggio si tengono corsi di muretti a secco.
Si tratta di una sorta di scuola all’aperto in cui i docenti sono anziani ed esperti del luogo. Non soltanto si impara la tecnica per la realizzazione di un nuovo muro seguendo le antiche tradizioni. Così facendo si contribuisce al ripristino dei muri franati e al recupero dell’identità ambientale.

Arnasco si trova a pochi km dalla Riviera. La strada provinciale per raggiungerlo si inerpica tra gli oliveti e regala molti scorci incantevoli sulla piana di Albenga.
Il muro che delimita la piana ogni anno si arricchisce di nuovi murales che raccontano la civiltà contadina e le tradizioni. Meta interessante per gli appassionati di street art insolita.

L’economia del borgo ligure di Arnasco vive esclusivamente dell’olio prodotto con l’oliva tipica, detta anche “pignola” per l’inconfondibile gusto di pinolo che la contraddistingue.
Qui è stato allestito un “Museo dell’olio e della civiltà contadina” dove sono esposti oltre 500 oggetti che raccontano un lavoro ed un mondo che si stanno dissolvendo. Grazie alla Cooperativa Olivicola, questo mondo torna a vivere ed è stato anche possibile il recupero di molti antichi oliveti abbandonati.

In zona, non perdetevi un buon pranzo in trattoria. Ordinate il tipico coniglio alla ligure con olive taggiasche e pinoli.

Basta addentrarsi nei meandri boschivi e soleggiati dell’entroterra ligure per incontrare un’infinità di ponti, reali e metaforici. Ponti a gobba d’asino che scavalcano torrenti dalle acque trasparenti. Come quello di Dolceacqua sul Nervia che Monet aveva dipinto e definito”gioiello di leggerezza“.

A volte si parla invece di ponti intesi come legame, come filo conduttore quali possono essere la magia, la leggenda, il mistero.
Le streghe di Triora, ad esempio, in valle Argentina alle spalle di Taggia. Conoscete la loro storia?

La leggenda delle streghe di Triora

Foto by altaviadelasale.it

Le povere streghe di Triora ancora ammantano di fascino il paese ligure.
Siamo nel 1587 quando, durante una grave carestia, i malefici di presunte streghe furono considerati causa della piaga. Iniziò così una caccia spietata durante la quale le malcapitate donne accusate sfuggirono ad immani torture dichiarandosi colpevoli di tali sortilegi.
L’agghiacciante vicenda è documentata nel Museo Etnografico e dalla Stregoneria ma tracce di quegli episodi sono conservati all’interno di tutto il borgo ligure di Triora. Ora, soltanto sotto forma di leggenda.

Foto by visitdolceacqua.it

Dalle streghe di Triora si fa un passo e si raggiunge Filomena, la sfortunata sposa adolescente che è stata buttata in prigione perchè aveva rifiutato lo jus primae noctis al signore di Dolceacqua. Morta dopo un mese tra dolore e stenti, pare che il suo fantasma si aggiri inquieto tra le rovine del castello sovrastante la parte più antica del borgo ligure.

Si tratta di racconti che hanno sconfitto lo scorrere dei secoli e ancora oggi risulta difficile scendere la realtà dalla favola, dalla leggenda. Nemmeno gli abitanti hanno intenzione di abbandonare questi legami e l’alone di mistero che avvolgo il loro paese. Anzi, non mancano le rievocazioni di fatti avvenuti forse soltanto nella fantasia collettiva: il 16 agosto infatti Dolceacqua rievoca la vittoria del popolo contro l’odiato tiranno.

Foto by visitdolceacqua.it

Ancora oggi i forni producono la “michetta“, un dolce molto semplice ma che nella forma ricorda la parte più intima della donna. Si narra che questo dolce sia stato creato per celebrare la liberazione del paese dalla crudele usanza medievale.

Sempre per tradizione, un’allegra comitiva di giovani accompagnati da un’orchestrina percorre i due quartieri di Dolcecqua sostando nelle cantine e sotto le finestre della ragazze chiedendo loro “la michetta“. Le ragazze, in risposta, calano in cestini il dolce tipico della tradizione.

Visitare Dolceacqua significa addentrarsi nella parte più vecchia e percorrere un dedalo tortuoso di stradine, passaggi coperti, archi, case povere ma antiche. Oggi è diventato sede di botteghe artigiane e di cantine dove è possibile degustare il vino tradizionale locale, il Rossese.

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