Io e Filippo siamo accaniti consumatori di sushi.
Per me non è stato amore a prima vista. Gli approcci iniziali mi hanno lasciato abbastanza delusa. Trovavo qualsiasi specialità insipida e nauseabonda, non facevo particolare uso nè di salsa di soia nè di wasabi.
Poi ho iniziato ad indirizzarmi verso le scelte giuste. Sì perchè amo il sushi ma non mangio proprio di tutto. Sono abbastanza abitudinaria e principalmente divoratrice di salmone.
Preferisco i piatti semplici, con gusti poco complessi come i classici nigiri, i piccoli maki, california e tiger roll.
È diventata un po’ la nostra droga settimanale e grazie alla moda del “all you can eat” possiamo saziare la nostra voglia senza spendere una fortuna. Ammetto però che questa pratica di ordinare allo sfinimento snatura un pochino il rituale proprio di questa cucina giapponese e finiamo per non riuscire a gustarla come dovremmo.
All’estero spesso ci è capitato di scegliere un sushi bar o un ristorante giapponese per alternare la cucina del posto o per semplice “astinenza da pesce crudo”.
E a volte ci sono state sorprese. Infatti, come per tutte le cucine etniche, i piatti subiscono un radicale ridimensionamento adattandosi ai gusti della popolazione ospite.
Credete forse che il sushi di Monza sia come quello che si mangia a Tokyo? Più o meno buono, sicuramente è diverso e più facilmente – di solito – apprezzabile dal nostro palato italiano.
Esempi calzanti sono le numerose bustine da tè, ad utilizzo illimitato e gratuito, che troverete in quasi tutti i ristoranti giapponesi in oriente. O il tè rovente servito in capienti teiere e lasciato al tavolo nella chinatown di San Francisco.
Negli USA spesso il wasabi – la salsa verde al rafano, molto piccante – non viene servita a parte ma incorporata già tra riso e pesce.
Il primo sushi che vi devo “raccontare” è quello al Sushi Masa di Bangkok. Un piccolo ristorante affollatissimo nel giardino del nostro hotel. Passandoci davanti più volte al giorno non abbiamo potuto resistere, anche se i prezzi erano nettamente sopra la media thailandese. Al tavolo ci arrivano ordinazioni da giganti. Il sashimi di salmone era a tranci, non a fettine. I roll erano così grandi e pesanti da non riuscire a tirarli su con le chopstiks. Anche ordinando pochi piatti siamo usciti sazi e forse fin un pochino nauseati. Pareva in certi momenti di addentare un intero pesce!
Un’altra particolare esperienza è stata al Sushi Samba Dromo di Miami. Un locale cult dove poco importa cosa e quanto mangi, fa già figo che tu sia seduto lì. Ecco, non è il mio normale ragionamento e infatti, spendendo un patrimonio, ho concluso la cena insoddisfatta e affamata. Il bellissimo piatto in vetro lavorato presentava i pochi nigiri agghindati a festa tra salse e orchidee fucsia. Sul bancone camminavano granchi vivi, musica ad alto volume e luci fluorescenti. Non sono stata attratta dal locale, ma, come al solito, dal sushi!
Bellissimo ricordo, invece, del sushi bar Sushi Express di Hong Kong. Talmente bello che ci abbiamo mangiato tre volte di seguito! Esagerati, lo so, ma arrivavamo da 15 giorni in Cina dove la questione alimentare ci ha spesso lasciato a bocca aperta… e vuota!
La politica era interessante: 1 ora di tempo per mangiare tutti i piattini che si voleva presi dal rullo e pagandoli soltanto l’equivalente di 80 cent.
Il bello era l’incredibile varietà di pesce e di roll che in Italia si trovano a fatica e che con quel sistema abbiamo potuto sperimentare. Capasanta, rombo…
Anche in Cina comunque qualche esperienza di sushi c’è stata. Qualche assaggio di piatti abbastanza banali all’LX Sushi bar di Shanghai , nella concessione francese, gustati a fatica durante una improbabile discussione con un locale che voleva rispolverare le tre parole che conosceva in lingua inglese.
E un veloce assaggio da coraggiosi in un sushi bar-bancarella nel centro pedonale di Guilin dove il pesce aveva un poco appetibile color verde cangiante che ci ha fatti scappare al secondo piattino. Addirittura l’unica bevanda servita – e pure gratis – era il tè caldo ovviamente senza zucchero. Filippo ha dovuto uscire per acquistare una Coca dal baracchino di fronte!
Abbastanza deludente anche il sushi take away dell’aeroporto di Bangkok ma non è che potessi aspettarmi molto di meglio.
Da Otharu a Koh Samui invece i piatti erano buoni ma venduti a peso d’oro. Anche le bevande, costosissime. E infatti il locale era il meno affollato della zona di Chaweng, unico giapponese dell’intera isola probabilmente.
A Dubai era l’inizio del nostro viaggio di nozze. Nessuno ci aveva avvisato del ramadan in corso e sopravvivere in giro per la città senza toccar cibo fino alle 19 non è stata cosa semplice. Nei centri commerciali, le poche tavole calde o fast food – come Mc Donald’s – aperti servivano esclusivamente pietanze take away da portarsi a casa e noi ci siamo ridotti a mangiare un tubo di Pringles chiusi nei pulitissimi, per fortuna, bagni pubblici.
Dopo le 19 però locali e turisti si scatenavano e un coloratissimo sushi bar proprio di fronte alle fontane musicali del Dubai Mall ci ha rapiti. Piattini semplici, prezzi accettabili, ma, data la situazione, cena apprezzatissima!
A San Diego abbiamo pranzato in un ristorante giapponese minimal e hi tech con grandi vetrate sul noto quartiere storico Gaslamp. A Huntington, enormi schermi al plasma trasmettevano la finale dell’NBA e il chiasso faceva somigliare il grande ristorante in una pizzeria italiana durante i mondiali. I prezzi negli States erano sempre sopra la media e nonostante gli americani siano famosi per esser buone forchette, non si è visto un solo “all you can eat”, anzi, porzioni modeste.
A San Francisco però, nel quartiere cinese, abbiamo scoperto numerosissimi ristoranti orientali e ci siamo innamorati del più buono chow mein della nostra vita. Ma non divaghiamo. Anche il sushi non era male, servito con tè caldo gratuito, e a prezzi molto contenuti. Non aspettatevi estrosità però, la cucina teppanyaki ha la precedenza.
Due parole sul lounge sushi di Vienna. Nessun prezzo esposto, nessuna locandina. Un bellissimo ed elegante palazzo che somigliava più ad un teatro che ad un ristorante. All’interno un buio a cui non siamo abituati. Ci hanno ritirato i cappotti e fatto sedere avvicinandomi la sedia. Ambiente formale con i tavoli a metri di distanza l’uno dall’altro, tutti diversi. Calici e candele. Sushi buono, con ovviamente un particolarissimo occhio di riguardo alla presentazione. Temevamo sul prezzo ma è stato corretto, se non altro per la particolarità del locale.
Per concludere ho lasciato la nostra ultima curiosa esperienza direttamente alla BIT 2014. Nella giornata di venerdì, lo stand del Giappone offriva ai primi 100 visitatori un assaggio di sushi direttamente da Tokyo. All’ora prestabilita era sufficiente compilare un questionario sul turismo e attendere il proprio turno muniti di numerino. Il sushi era preparato sul momento, davanti ai nostri occhi, e pennellato di salsa di soya. La grossa differenza è stata il riso: davvero perfetto! Un sake ad accompagnare…
2 comments
Nessuno assomiglia a un vero sushi giapponese come si deve, mi pare. Devi rimediare in loco, poi aggiornerai il post! 🙂
p.s. forse l’ultimo ci assomiglia
E non vedo l’ora di farlo! Una necessità direi! 🙂