Era febbraio 2015, non si trattava di un vero viaggio attivo alla pinkpacker ma comunque di un on the road al femminile in Transilvania; è lì che ho conosciuto la polizia rumena.
E’ stato un incontro-scontro che merita un racconto, un’esperienza che mai scorderò e che può tornare utile per farsi due risate o sapere come comportarsi… just in case (e non lo auguro a nessuno!).
Io e Simona, due donne in viaggio tra villaggi medievali e castelli, tra infinite campagne innevate e cittadine ammodernate di recente, su strade a lentissima percorrenza e poco sicure, con un traffico irresponsabile e spesso pericoloso, siamo state fermate da una pattuglia della polizia.
Avevamo la macchina in affitto presa a Cluj Napoca, capitale europea della gioventù 2015, stavamo arrivando ad Alba Iulia nella più tetra delle notti transilvane, dopo tre giorni di viaggio, dopo aver visitato il Castello di Peles nell’irraggiungibile area di Sinaia.
Nevicava.
Era una costante del viaggio ed ha saputo rendere tutto più affascinante: i cieli costantemente grigi, la steppa imbiancata di una neve che non faceva cumulo, la notte che scendeva prima delle 18, le strade buie cui prestare sempre la massima attenzione, i portoni chiusi e i villaggi deserti per il freddo e per cultura.
Eravamo isolate, se non per qualche pazzo che ci superava lungo strade strette e scivolose, spesso ostacolate da carri trainati da cavalli o asini che viaggiavano comodamente su asfalto, com’è normale da quelle parti. Eravamo stanche e ci eravamo date il cambio da poco più di un’ora credo. Stavo guidando io.
Avevo sfruttato l’unica tratta di autostrada disponibile in quella zona ed eravamo arrivate alle porte della città alle 21, con accenni di stanchezza e fame.
Con l’incoscienza che ci contraddistingue avevamo preferito non affittare il gps e utilizzare le mappe cartacee. Ci eravamo immaginate viaggi su strade decisamente più confortevoli e illuminate e questo ci ha fregato.
Intente a confrontarci su che direzione prendere, sono andata lunga a un semaforo. Ho inchiodato senza passare l’incrocio, ho fatto retro e sono ripartita con il verde, ma questo è stato sufficiente per conoscere la polizia a distanza ravvicinata.
Una pattuglia proveniente in senso opposto, mimetizzata nella nebbia, ha fatto inversione a U e ci ha inseguite con i lampeggianti accesi e la sirena spiegata.
Ho accostato dopo qualche attimo di incredulità e l’insistenza degli abbaglianti, ho chiesto che mi parlassero in inglese e consegnato patente e libretto. L’inglese perfetto del giovanissimo poliziotto mi ha sorpreso: uno dei nostri mi avrebbe lasciata andare per difficoltà linguistiche.
Ha dichiarato che se avesse immaginato fossi straniera non mi avrebbe fermato.
Se ve lo dicessero non credeteci: sono certa abbiano un modo per riconoscere le auto in affitto! Non ho mai visto una pattuglia fermare auto rumene durante sorpassi folli, superamento dei limiti di velocità su strade impraticabili, parcheggi assurdi.
Eppure, guarda caso, nonostante la nebbia, la neve e la notte ci hanno beccate in pieno e sono stati intransigenti e molto severi.
Avevano il filmato della mia infrazione e sostenevano irremovibilmente che fossi passata con il rosso. Ovviamente non ascoltavano le mie ragioni, sostenevano solo che io non potessi vedere il semaforo diventato verde avendo fatto una retromarcia troppo breve. Inutile discutere con chi mi diceva che mi avrebbe sospeso la patente per un mese.
Sotto la neve a fiocchi laghi, affacciata al finestrino della pattuglia ho cercato di mediare chiedendo loro – da ultimo – di considerare pagata la multa immediatamente e di ridarmi la patente. “Non brucio mai i semafori io!” E loro prontamente: “Stasera l’hai fatto”.
Ho pagato subito, senza indugiare oltre, la cifra era sciocca rispetto al trattamento da criminale che mi stavano riservando. Una cinquantina di euro, forse meno, ma non me la sarei cavata così.
La mia patente è scomparsa in una cartelletta nera, i poliziotti si facevano beffe di me consigliandomi di passare dall’ambasciata per riaverla. Mi stavo veramente arrabbiando.
Mai mi è passato per la testa di corromperli: non mi appartiene e non l’avrei mai fatto, anche se questa pare essere la prassi in Romania.
Mi sono spazientita e con durezza li ho affrontati: non c’era nulla da scherzare, a me la patente in Italia serviva e non stavo giocando. Ho vuotato il sacco, ho detto loro quanto allibita fossi per il trattamento, soprattutto dopo aver visto come guida la gente in Romania.
Solo allora hanno trovato una soluzione: avrei potuto recarmi dal notaio il giorno dopo, dichiarare che non avrei guidato in Romania per il periodo della sospensione (un mese con decorrenza 15 gg dopo l’infrazione. Spiegatemi il senso…) e consegnare la dichiarazione autenticata in polizia. Pareva facile.
Sapevate che ad Alba Iulia, come forse in tutte le città rumene, c’è la via dei notai e dei traduttori legali? Un vero e proprio business. Circa 10 euro a dichiarazione e una ventina al traduttore e il gioco è fatto.
La parte snervante è l’attesa di essere ricevuti dal notaio che pare sempre occupato per gli stranieri.
E’ sfinente avere il tempo contato perché c’è un aereo da prendere in un’altra città ed essere relegati su una sedia in una sala d’attesa squallida e affollata. E’ frustrante sentirsi isolati. E’ deludente il dover buttare una mezza giornata così invece che visitare Alba Iulia: la città con la pianta a stella.
Per fortuna il traduttore che ho conosciuto, Alin, è stato provvidenziale.
Dopo una prima consegna alla polizia di documenti con date espresse in maniera errata ed essere stata rimbalzata allo sportello, sono tornata dal notaio che non mi ha più voluta ricevere.
Ero a 2 ore di strada dall’aeroporto di Cluj Napoca, a 3 ore dal decollo e ancora non avevo riavuto la mia patente. Segretarie che se ne fregavano, notai che si comportavano da dittatori, gente che ci guardava con diffidenza estrema e polizia inflessibile. Un incubo.
A un certo punto ho realizzato di essere in una strada piena di notai! Sarei andata da un altro, gli avrei fatto copiare la dichiarazione che già avevo, apponendo date corrette ovviamente e sarei corsa, nella neve, fino al distretto di polizia. Così ho fatto!
Ho chiesto in inglese che qualcuno mi aiutasse, ho chiesto se ancora qualcuno in quel posto avesse voglia di dare una mano a una straniera che in quel momento voleva solo tornare a casa. Mi guardavano stralunati. Non so se capissero.
Ricordo i muri completamente ricoperti in legno scuro e gli occhi della gente là dentro a fissarmi, finchè è entrato Alin con Simona. L’aveva convinto a rimandare un impegno in tribunale per aiutarmi!
Mi ha salvato: ha autenticato documenti per me, ha fotocopiato lui il mio passaporto, ha timbrato a secco il testo battuto a macchina dalla nuova segretaria e… ehm siglato il tutto al posto del notaio, quello vero.
L’ho pagato in euro e l’ho salutato con la sua voce che mi urlava “Corri, corri!”.
Io e Simona siamo schizzate in polizia, ho consegnato il foglio allo sportello e riavuto la patente senza che nemmeno lo controllassero. Ero libera di tornare a casa! Ma prima ci aspettava ancora una corsa contro il tempo per prendere l’aereo!