Domenica mattina, manca solo un giorno e poi si ritorna a scuola dai bimbi di Bene Baraque che mancano già tanto a tutti noi.
Abbiamo fissato un giorno di visita a Dakar, ma siamo distrutti dalla nottata passata in discoteca nella capitale. Noi però non ci si risparmia mai, soprattutto in questo viaggio di volontariato e di vita.
Il Palazzo del Presidente, poi quello del Governo e la cattedrale, mentre qualcuno fa un giro in clinica, così per smarcare anche questa. La città è una grande metropoli molto occidentalizzata, in contrasto – neanche a dirlo – con quanto sta pochi chilometri fuori dal centro; niente di diverso da Nairobi, Mombasa, Il Cairo, e le altre capitali africane.
Due passi in centro tra bancarelle e stradine secondarie, incontri, mercato del pesce, murales che comunicano l’orgoglio africano.
E poi il mercato dell’artigianato locale, quello turistico diciamolo, quello in cui non ti mollano più e concludi acquisti per sfinimento oppure per abilità nella contrattazione e in questo eleggiamo regina la Franci
Ben che con il suo italiano adattato al francese per l’occasione mi strappa un prezzaccio su due batik che ora sono appesi in cucina a casa mia. Qual è il prezzaccio?! Ah sì, max ott mill (pas plus que 8000 cfa).
Passerà alla storia. Se la ridono ancora adesso, ma io non avrei mai saputo contrattare tanto.
Dopo il mercato, provo per la prima volta il caffè touba (un caldo bicchiere di caffè fortissimo, molto zuccherato e speziato). Un caffè nuovo che mi strega come l’Africa sa fare.
Poi ci trasferiamo al punto più alto della città dove si erge uno dei monumenti più alti del mondo: il monumento alla Rinascita Africana.
Un’infinità di scalini fatti di corsa, nel cuore la voglia di arrivare lassù in fretta per godere della vista dall’alto, dell’imponenza del monumento, del tramonto sull’oceano e dei suoi colori caldi e rassicuranti.
Una sosta per uno scatto che immortali questo momento mozzafiato e poi via a correre di nuovo fino alla cima, incrociando bambini che cambiano direzione e mi imitano superandomi agilmente, e adulti che scendono rilassati.
Arriviamo con il fiato davvero mozzato alla sommità, chiacchieriamo con i capelli al vento e ci emozioniamo per la vista spettacolare. Peccato essere arrivati troppo tardi per salire sulla statua.
La discesa in totale pace e armonia è un momento di relax mentale.
Scalini che ora sembrano essere meno ostili, dopo tanta fatica, quasi a simboleggiare la difficoltà di raggiungere la vera opportunità di rinascita prima, e la consapevolezza che, una volta individuata, il cammino si fa più semplice.
In fondo alla gradinata rimaniamo immobili davanti ai ragazzini che, sul palco sottostante la statua, ballano musiche afro.
Il loro fluido entra letteralmente nei nostri corpi, c’è qualcosa di magico e spontaneo nell’aria, e noi ci scateniamo con loro e ne coinvolgiamo altri, ci mischiamo, ci guardiamo, sorridiamo moltissimo e intanto cala la notte e noi non vorremmo mai andare via.
Questa è l’Africa che ti entra nelle vene; ed è fatta di musica, di persone, di suoni ritmici, di energia, di colori che cambiano in fretta, di accoglienza, di condivisione di un momento, di curiosità, di mani che si sfiorano e si prendono, di sorrisi immensi, di stupore di bambini e adulti, di fusione, di scambio, di salti, di balli, di spontaneità, di momenti che sembrano infiniti, di ricordi indelebili di vitalità di un popolo.
Non ho foto perchè eravamo tutti a ballare, perchè questi momenti vanno vissuti appieno e il ricordo rimane comunque nel cuore.
Gli occhi dei bambini di questa sera li ritroveremo domani a scuola nei “nostri” bambini.
Solo questo ci conforta nel salutare i nostri nuovi amici e risalire sul carrapide, chè si è fatto tardi.