Com’è svegliarsi alle 5 del mattino per salpare con un peschereccio nell’Oceano Atlantico, coi gabbiani affamati che ti inseguono?
Com’è vedere un’alba dai colori talmente potenti da sembrare uno dei tramonti più belli mai visti?
Com’è essere l’unica a non aver pescato nulla se non la lenza del mio collega Uwe ma divertirsi comunque tantissimo?
Com’è fare colazione in una calda caffetteria del porto con il pesce appena pescato (non da me…)?
Ma cominciamo dall’inizio.
Questo è soltanto un piccolo pensiero che ho scritto pubblicando alcune foto in tempo reale sulla mia pagina Facebook (la segui già?) che però rende molto bene le emozioni che mi stavano passando per la testa in quel momento.
Fatica, taaanta stanchezza, aria fredda nei polmoni, colori e profumi forti nel naso…
Alle 5 suona la sveglia ed io non capisco nemmeno dove mi trovo.
La sera prima, una delle serate più belle a cena con il gruppo nel bistrot Mermaid, non ci siamo accontentati e alcuni di noi hanno tirato tardi in un pub tra ottime birre irlandesi.
Ho finito per crollare nel letto della mia stanza d’albergo alle 2 passate, dimenticando la luce accesa.
Apro gli occhi a fatica, prego di stare sognando quel melodioso suono ma non è così. Le condizioni fisiche e mentali sono imbarazzanti e quel che mi attende mi preoccupa un pochino.
Ho evitato gli occhiali scuri a cui invece Christopher la mattina non rinuncia mai per mimetizzare le sue condizioni post-baldoria. Li lascio in stanza, i miei, perché… perché per me questa non è mattina. E’ ancora sera tardi ed io sto uscendo di nuovo, strusciando i piedi a terra, vestita di tutti gli abiti più pesanti che ho in valigia.
Ovviamente fuori è buio ma credo che la mia vista “da falco” di questo momento non mi permetterebbe comunque di scorgere più che ombre sfocate.
Pochi passi e siamo al porto dove ci attende l’allegra ciurma del Causeway Foodie Tour. Hey, attenzione, allegra davvero! Io non so dove prendano tutta questa energia!
Il cielo è coperto da millemila pecorelle arruffate che cominciano a lasciar filtrare qualche riflesso di luce dai colori ancora flebili. Dal porto mi volgo indietro: Portrush dorme (beata lei) e i lampioni delle strade la colorano di oro come una vecchia cartolina seppiata.
Il capitano accende il motore, la Causeway Lass è pronta a ritirare gli ormeggi ed io mi rendo conto che no, non ci sono comode seggiole né un caldo sottocoperta dove fuggire gli sguardi e ritirarmi per un’altra ora di sonno.
No, si parte e si è in gioco, si è in mare, con l’aria fredda dell’Atlantico che ora mi schiaffeggia la faccia. Gli occhi mi lacrimano (dove ho lasciato gli occhiali scuri!?) e i jeans cominciano a trasformarsi in cartone congelato, aggrappato alle mie gambe.
Il freddo in realtà non è mortale ma la stanchezza gioca sicuramente a suo favore.
Gli schizzi salati mi increspano i capelli e mi accartocciano le labbra, eppure non mi importa, eppure non sento alcun fastidio. Non mi curo della mani viscide che lasciano gli aloni sul display dello smartphone o che si appiccicano allo zoom della fotocamera… quello che sta succedendo davanti a me richiama tutta la mia attenzione e mi desta definitivamente.
Ho davanti agli occhi una delle albe dai colori più intensi che io abbia mai visto. E ok, di albe per fortuna ne ho viste poche nella vita ma ci metto dentro anche quelle di film e cartoline!
Il cielo diventa blu e viola in un attimo per poi cambiare sfumatura ad ogni onda che la Causeway Lass solca senza esitazione. Dondoliamo. Dondoliamo parecchio. E’ difficile restare in piedi, figuriamoci mettere a fuoco questo capolavoro che in continuo movimento si sta specchiando sul mare.
Ormai è chiaro ma il cielo non sta fermo un attimo, come noi sulla barca! Poi si riempie di gabbiani, chiassosi, indisciplinati, che non smetteranno di tampinarci lungo tutto il nostro cammino, avidi di quel pesce che loro non hanno voglia di pescare e che io… hem io….
Ci fermiamo ad ammirare il Dunluce Castle, uno dei set più apprezzati di Game of Thrones, o almeno le rovine che restano ancora in piedi sulla scogliera, dopo il catastrofico crollo in mare. La sagoma è affascinante e imponente ma… qualcuno mi mette una canna da pesca in mano, non è più ora di sognare ma di fare qualcosa di concreto!
Non trovo motivo per dilungarmi troppo sul racconto dei ben 4 momenti di fruttuosa pesca benché io, in effetti, sia l’unica di tutta la brigata ad aver tirato su il pesce più grosso: ‘la lenza del mio collega Uwe che stava pescando (con più successo, sicuramente) accanto a me.
Tra risate di soddisfazione, lenze ingarbugliate, foto trofeo, sfilettature di pesci e orgoglio ferito (solo il mio, ok…) sfamiamo quei gabbiani che la vedevano lunga e ci hanno inseguito come condor nella Death Valley, ma poi tocca a noi!
Completamente digiuni (sì, per me non è un problema che la colazione non la faccio mai ma i miei colleghi avrebbero di lì a poco cominciato a mangiarsi tra loro) rientriamo in porto per la meritata e sudata colazione.
Come vecchi lupi di mare ci sfiliamo l’impermeabile e ci rilassiamo al caldo della caffetteria Babushka tra tè e torte con ingredienti biologici. La coraggiosa ciurma si delizia di un invitante piatto a base di pesce, quel pesce “procacciato” con le proprie mani. Ma io non me lo sono meritato e resto volentieri a guardare… e a giocare con un bellissimo micio rosso che, sul molo, mi corre incontro come dire “Ok, il pesce non me l’hai pescato ma puoi ancora darmi due coccole!” ❤️