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Sui percorsi delle “Volpere” tra miti e leggende

by Greta

E’ giornata di trekking lungo il fiume per il blog tour #PiaveLive, organizzato dal Consorzio Bacino Imbrifero Montano del Basso Piave e l’agenzia di comunicazione Next Italia.
Ci troviamo a Falzè di Piave, siamo in compagnia dei ragazzi di Lega Ambiente e stiamo per intraprendere “Le Volpere”, un particolare percorso con triplice valenza: storica, naturalistica e mitologica.

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Costeggiando la Piave

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Lungo il sentiero

Nei secoli passati, quando la Pianura Veneta e  le montagne erano ricoperte di fittissima vegetazione, tutti gli spostamenti e in particolare quelli mercantili si svolgevano lungo il greto della Piave (ebbene sì, il vecchio fiume è chiamato al femminile). Lungo le sponde transitavano le greggi che si spostavano dal mare ai monti in estate e viceversa in inverno. I pastori trasportavano il prezioso sale dal mare e i minerali dai monti.

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Punto di vedetta sulla Piave

Seguendo sempre i percorsi fluviali, dal Baltico giungeva fino all’alto adriatico l’ambra. La preziosa resina fossile veniva già ai tempi utilizzata per monili e gioielli ma il suo ruolo principale era magico.
Dal centro europa invece, dove esistevano già miniere di rame e stagno, giungevano fino alle Prealpi semilavorati che acquisivano poi in Italia le loro forme finite di asce, spade, falci, gioielli…

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Il percorso delle Volpere

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Tarzan sulle limpide acque della Piave

Prima ancora della scoperta del rame e dello stagno, il greto del fiume era una miniera inesauribile di selce, un vetro naturale utilizzato dall’uomo primitivo per una grande quantità di oggetti da taglio, perforazione e raschiatura. Per questo, le sponde del fiume erano abitate da numerosi artigiani che lavoravano la selce e smerciavano facilmente i loro manufatti grazie al frequente traffico lungo la Piave.

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Riproduzione di una antica zattera

L’attività dei zattieri della Piave era molto diffusa per trasportare le merci da una sponda all’altra del fiume prima della costruzione dei ponti in pietra. Praticamente quasi tutto il commercio che si svolgeva tra Europa centrale e gli altri Paesi del Mediterraneo, passava di qui, attraverso Venezia.

Ma veniamo all’aspetto mitologico che ha sicuramente attirato gran parte della mia attenzione.
Lungo il percorso incontriamo due particolari figure mitiche, un po’ simpatiche e un po’ inquietanti, che ci vengono descritte dal carattere ambivalente: buone o cattive, decidetelo voi, quando ve le troverete davanti. Vi aiuto a riconoscerle:

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Un disegno del Matharòl

Il Matharòl (come viene denominato nel Veneto Settentrionale) o l’equivalente Salvanel (nel Veneto Meridionale) è una figura mitica creata dalla cultura popolare che presenta le seguenti caratteristiche.

– Frequenta i boschi e i luoghi incolti.
– è piccolo di statura.
– E’ geloso protettore del bosco e i suoi abitanti. A volte combina scherzi soprattutto ai cacciatori, facendo loro perdere il senso dell’orientamento e andandoli a collocare sopra pericolosi precipizi.
– Secondo alcune versioni ha gambe caprine.
Parla “petél”, usa cioè un linguaggio infantile, poco comprensibile sia per la scarsa articolazione dei suoni che per la stranezza delle parole.
– Nell’antichità ha insegnato agli uomini la pastorizia e l’arte casearia. Talvolta, all’insaputa dei malgari, si premura di accudire il bestiame e di riassettare le stalle.
– Suona il flauto.
E’ sempre vestito di rosso.

Matharol

Statua del Matharòl alle Volpere

Le peculiarità che caratterizzano il Matharòl inducono a pensare che in lui, venissero rappresentati tre diversi stadi dello sviluppo dell’umanità primitiva, fino alla rivoluzione agricola.
La fase di caccia-raccolta in ambiente di foresta. La fase pastorale. La fase mineraria-metallurgica.
Le fasi si possono individuare grazie alla sua piccola statura che ricorda i pigmei, al nome che deriva da “massaro” ossia “conducente di una azienda pastorale”, al colore rosso che richiama sia il fuoco che il rame e via dicendo.

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Disegno di una anguana ungulata

La figura mitologica della Anguana viene descritta così.

– Sono sempre collocate in corrispondenza di sorgenti, caverne o altri ambienti acquatici, come intuibile dal loro stesso nome, che viene fatto derivare dal latino Acquaneae, cioè abitatrici dell’acqua.
– Dalla vita in su sono delle bellissime fanciulle, dalla vita in giù hanno corpo di anguilla o di pesce. Secondo  altre varianti montane presentano semplicemente dei piedi rovesciati oppure, per probabile contaminazione con la figura mitologica del Matharòl, hanno gambe caprine.
– Anche la metà umana presenta sostanziali difformità: hanno pupilla dilatabile come animali notturni, sono a sangue freddo, la loro pelle è viscida e la folta chioma è costituita da alghe filiformi.
– Stanno ritirate durante tutto il giorno, escono all’imboccatura delle grotte o fuori dalle sorgenti al tramonto, a lavare i panni e a cantare.
Il loro canto è ammaliante. Per sottrarsi alla loro magia gli umani devono indossare dei girocolli fatti con virgulti di viburno intrecciati.
– Sono generalmente benevole però se qualche malcapitato nuotatore incappa nelle loro chiome fluenti può rischiare di rimanervi impigliato e di morire annegato.

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La statua della anguana alle Volpere

L’interpretazione più plausibile è che le anguane siano personificazioni mitiche dell’ambivalenza dell’acqua. Se questa, da un lato, è vista come fonte di vita e di allegria, dall’altra è certo anche una potenziale occasione di morte.
Le leggende sulle anguane venivano raccontate ai bambini. I genitori cercavano, con racconti minacciosi, di incutere il giusto timore ai fanciulli, tenendoli lontani dai pericoli dei corsi e ristagni d’acqua.

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3 comments

Chiara 07/03/2016 - 11:20

Ti seguo da un po’ su facebook e instagram ammirando i posti che visiti e mai avrei pensato di vedere un post sul paese dove abito e il “mio” Piave. Una vera sorpresa! 😀

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Greta 08/03/2016 - 19:20

Ciao Chiara! Sei di Falzè? Sono felice che tu mi segua su fb e che tu abbia trovato sul mio blog qualcosa di a te molto famigliare! Un abbraccio, continua a leggermi! 🙂

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